Starbucks: dopo l’incidente del 12 aprile il 29 aprile in 8,222 punti vendita americani ci sarà’ una chiusura pomeridiana per partecipare ad un corso educativo antirazzista 

Starbucks: dopo l’incidente del 12 aprile il 29 aprile in 8,222 punti vendita americani ci sarà’ una chiusura pomeridiana per  partecipare ad un corso educativo antirazzista 

Sarà per una questione di etica o chissà che, fatto sta che dopo l’incidente accaduto il 12 aprile a Philadelphia in uno dei suoi coffee-shop, Starbucks  ha deciso di chiudere per un pomeriggio le proprie caffetterie per organizzare ai propri  dipendenti un corso contro le discriminazioni razziali. Un “investimento” di milioni di dollari che fà sicuramente  riguadagnare all’azienda la reputazione persa, senza farle perdere migliaia di clienti.

La grande catena Starbucks si e’ sempre contraddistinta per la valorizzazione progressista, ma il comportamento razzista di un direttore di un punto vendita del centro di Philadelphia ha minacciato anni di lavoro, nel momento in cui ha chiamato la polizia per fare allontanare due afroamericani che stavano attendendo un loro amico all’interno del bar senza acquistare nulla fino a quel momento. I due sono stati ammanettati e accusate di violazione della proprietà privata.

Da qui si è scaturita una bufera, in quanto l’episodio e’ stato filmato e postato sui vari social network, obbligando in un certo qual modo i vertici di prendere la decisione di una chiusura pomeridiana il 29 aprile di 8,222 punti vendita americani per far si che 175mila dipendenti possano partecipare ad un corso educativo antirazzista.

Una politica ben conosciuta da Starbucks che nel 2015 aveva promosso la campagna “Race Together” nata per sensibilizzare i suoi dipendenti e incoraggiarli a parlare dei problemi legati al razzismo con i clienti, ponendo lo slogan sul bicchiere di carta nel tentativo di incoraggiare una conversazione su questo tema delicato.

Ed è per questo che il ceo Kevin Johnson a qualche giorno dall’accaduto ha dichiarato che la formazione finora fatta dall’azienda aveva fallito: “L’episodio è stato riprovevole. Faremo di tutto perché nei nostri locali casi del genere non avvengano mai più”. Da qui la decisione del corso anti-razzismo che però non risolve i problemi strutturali del colosso americano del caffè che negli Stati Uniti ha scelto di puntare con i propri negozi ai quartieri di lusso, a prevalenza bianca.

E il caso di Philadelphia ne è la dimostrazione: la cafferia di Rittenhouse Square si trova nel cuore di una delle zone più costose ed esclusive del centro. L’atteggiamento di quel direttore rispecchia, anche se non giustifica, quindi il suo pregiudizio nei confronti di due persone nere che si erano fermate nel negozio solo ad attendere degli amici. E per questo arrestate.

Anche se la popolazione afroamericana di Philadelphia è elevata, Rittenhouse Square è uno di quei quartieri a più alta densità bianca. Ecco perché le accuse dello “sconfinamento” della coppia di colore va osservato anche sotto questa lente.

Secondo un’indagine dell’American Civil Liberties Union della Pennsylvania la polizia locale dal 2011 è stata accusata di arresti a sfondo razziale in Rittenhouse Square più che in altre zone della città. Nonostante la popolazione nera in quel quartiere sia solo il 3%.

Per essere chiari, i due uomini arrestati nel negozio Starbucks non sono stati selezionati a caso e avvicinati dalla polizia per il solito modus operandi “stop-and-frisk”. Un manager di Starbucks ha chiamato la polizia, che è arrivata, e ha effettuato a sua discrezione l’arresto.

Questo si scontra con quello che si legge sul sito Starbucks: “Crediamo che un coffee-shop  debba essere un luogo accogliente, invitante e familiare dove le persone possono mettersi in contatto tra loro. Quindi progettiamo i nostri negozi per riflettere il carattere unico dei quartieri in cui si trovano”.

Come riporta il sito Citylab.com “l’ambiguità sta nel fatto che Starbucks definisce “accogliente”, “invitante” e “familiare” spazi che a volte si trovano in zone che gli afroamericani sembrano percepire tutto tranne che “accoglienti”, “invitanti” e “familiari” per loro. Senza falsi moralismi, la contraddizione interna di Starbucks sta nel fatto che le sue più che lecite esigenze economiche vanno a scontrarsi con la mission inclusiva dell’azienda in cui un corso contro i pregiudizi non fa male, ma non fa abbastanza per superare l’intolleranza.